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L’espressione hate speech è stata coniata per la prima volta negli USA durante il movimento per i diritti civili degli anni ’60. Il suo uso si diffuse nel contesto degli sforzi per contrastare la discriminazione e promuovere l’uguaglianza e, da allora, il concetto di hate speech è stato oggetto di dibattito e analisi in ambito legale, sociale e politico, con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra la protezione della libertà di espressione e la prevenzione dell’incitamento all’odio e alla violenza.

Cosa significa? Letteralmente, “discorso d’odio

Con l’espansione dei social media e delle piattaforme di comunicazione digitale, l’interazione e le relazioni umane hanno messo anche online. Questo cambiamento di forme e contesti ha portato alla diffusione dell’hate speech digitale.

L’hate speech digitale si manifesta in varie modalità, dalle minacce esplicite e gli insulti a forme più sottili di molestie e discriminazione. Può verificarsi su piattaforme di social media, forum online, sezioni di commenti e persino attraverso canali di messaggistica privata. A differenza delle forme tradizionali di hate speech, che erano spesso confinate a specifici spazi fisici o comunità, l’hate speech digitale ha il potenziale di raggiungere un vasto pubblico istantaneamente, amplificandone gli effetti dannosi.

Ci sono diversi fattori che hanno contribuito alla proliferazione dell’hate speech digitale:

  • Anonimato e pseudonimato: Sul web, le persone possono nascondere la propria identità dietro pseudonimi o profili anonimi, rendendo più facile esprimere opinioni offensive senza essere identificati o ritenuti responsabili.
  • Ampia portata e velocità di diffusione: I messaggi online possono raggiungere un vasto pubblico in pochi istanti e essere condivisi rapidamente attraverso retweet, condivisioni su social media o messaggi diretti.
  • Ecosistemi digitali polarizzati: Le piattaforme online tendono a favorire l’interazione con persone che condividono opinioni simili, creando cosiddetti echo chamber o filter bubble. Questi ambienti digitali polarizzati possono alimentare l’escalation dell’hate speech, poiché le persone sono esposte principalmente a contenuti che confermano le loro convinzioni preesistenti.
  • Facilità di accesso e partecipazione: La bassa barriera all’ingresso nel mondo digitale consente a chiunque di partecipare alla conversazione online, compresi gli individui con intenzioni discriminatorie o violente.
  • Persistenza e memorabilità: Una volta pubblicato online, l’hate speech può rimanere accessibile per un lungo periodo di tempo e può essere difficile da rimuovere completamente. Questa persistenza significa che anche se il contenuto viene rimosso dalla piattaforma originale, potrebbe essere ancora disponibile tramite catture schermo o archivi online.

Le conseguenze dell’hate speech digitale sono profonde e di vasta portata. Per le vittime, può portare a disagio emotivo, ansia, depressione e, nei casi estremi, autolesionismo o suicidio. Inoltre, favorisce un ambiente online tossico in cui gli individui si sentono insicuri e non graditi, inibendo l’espressione e il dialogo libero.

Per scoraggiare il fenomeno serve un approccio multifunzionale che coinvolga l’educazione, la sensibilizzazione e l’intervento proattivo. Promuovendo la cultura digitale e le capacità di pensiero critico, possiamo abilitare le persone a riconoscere e respingere la retorica dell’odio, favorendo una cultura di rispetto e tolleranza online.

Fuori dagli Schermi contro l’hate speech

In questo contesto si inserisce Fuori dagli Schermi, progetto che utilizza gli strumenti teatrali per scoraggiare l’hate speech online e offline, con laboratori e attività per l’educazione digitale ed emotiva che coltivino empatia e stimolino ragionamento e confronto. Per sapere di più sul progetto fuori dagli schermi, leggi la pagina progetto.